Salve,

Voglio raccontarvi del mio percorso emotivo presso Macondo.

Avevo già notato nei miei scorsi apprendistati che il mio corpo spesso era soggetto da malattie croniche (cistiti frequenti, tensioni cervicali accompagnati da emicrania e intasamenti continui di muco). Di conseguenza mancavo spesso al lavoro e non riuscivo ad avere continuità.

Le malattie croniche mi impedivano anche di godermi i miei giorni di libero e mi ritrovavo sempre a passare il mio tempo a letto con i dolori e questo mi portava ad innervosirmi ancor di più e a stare sempre peggio.

Quando ho iniziato il mio percorso a Macondo mi è stato proposto di vedere settimanalmente la psicologa, inizialmente ero diffidente siccome in passato ho avuto brutte esperienze. Dopo la prima seduta invece dentro di me si è smosso qualcosa e finalmente ho percepito di potermi fidare e di essere capita dalla persona che avevo di fronte.

Ero una persona molto ansiosa, con poca autostima e nell’arco della giornata avevo degli sbalzi di umore evidenti ma che per me erano normali, ma solo grazie agli educatori che me lo facevano notare mi sono resa conto di avere un viso molto espressivo e che non potevo mascherare le mie emozioni come credevo.

Ovviamente più lavoravo su me stessa e più le mie malattie psico-fisiche si facevano sentire e puntualmente mi dovevo assentare da Macondo ignorando ancora i segnali che il mio corpo mi inviava. Gli educatori hanno capito la mia situazione e sono stati un ottimo sostegno.

Passiamo alla parte pratica…

Avete sentito parlare di ansia o ipersensibilità?

ANSIA: è il risultato psicofisico ed emozionale che nasce dal continuo tentativo di schivare un fallimento che nella mente ci immaginiamo tragico. È una lotta continua con un futuro che non esiste, condizionato da un passato che ci ha feriti. Uno stato di timore che ti appesantisce in una nebbia di minaccia incerta nella quale devi essere preparato al pericolo esterno o interno, in quanto in qualsiasi momento puoi rovinare tutto o ti possono attaccare.

IPERSENSIBILITÀ: è un pregio ma questo non presuppone che chi lo possiede, sappia sfruttarlo al meglio. Gli ipersensibili sono spesso convinti di non essere capiti e di rimanere soli al mondo. Ma questa condizione in realtà è più diffusa di quanto non si creda, ne è interessato circa il 20 % della popolazione. Per quanto riguarda le sue origini sappiamo da ricerche scientifiche che tale caratteristica è spesso ereditaria e collegata all’incapacità del genitore sensibile di insegnarne una corretta gestione al figlio. L’ipersensibile per sua natura è costantemente basato sugli stimoli esterni e sui giudizi altrui, così facendo però perde il contatto con il proprio corpo e con esso l’accesso ai propri bisogni. Il corpo è percepito solo quando procura fastidi e dolori fisici. In questo modo possono formarsi malattie croniche. Negli scambi sociali vivono rapporti conflittuali ed eccessivamente empatici, arrivando spesso al punto di rinunciare del tutto alle relazioni con l’altro.  

Insieme alla psicologa e agli educatori ci sono voluti mesi prima di scoprire che “soffrivo di queste due patologie”, ovviamente gli stage effettuati non sono andati a buon rendere e dentro di me sorgevano sempre le stesse domande: “cosa c’è che non va? Perché non posso essere una persona normale?” e l’ansia si faceva sentire, le mie energie si consumavano dai pensieri e il mio corpo mi obbligava a rimanere a casa a riposo.

La psicologa mi ha consigliato di intraprendere uno sport che mi aiutasse a prendere più sintonia con il mio corpo, di conseguenza ho iniziato un percorso di Yoga abbinato alla palestra e con diverse letture sullo sviluppo personale.

Quando ho iniziato ad assumere consapevolezza verso la mia mente e il mio corpo mi sono resa conto di quanto sono stati veritieri i consigli da parte degli educatori sul fatto di prendersi realmente il tempo necessario per sistemare la vera Mirela che si trova all’interno del mio corpo per poi riuscire a intraprendere con serietà un posto di apprendistato! Non è mai troppo tardi e non bisogna pensare che il tempo di ripresa sia tempo perso, anzi bisogna sfruttarlo al meglio per poi poter imparare a gestire qualsiasi stimolo o situazione esterna a noi!

In conclusione cito la frase che mi è stata di lezione detta da un’educatrice: “inizialmente bisogna piantare i semi e aspettare che essi sbocciano, purtroppo l’attesa può essere lunga, ma una volta fioriti bisogna solo mantenerli in vita!”